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Lavoro e reddito di cittadinanza

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cloudsNel nostro gruppo su Facebook (del quale continuo a essere molto orgogliosa), parlavamo in questi giorni di reddito di cittadinanza, a partire da questo articolo: pare che in Finlandia sia allo studio la trasformazione del sistema di welfare pubblico in reddito di cittadinanza per tutti, a partire da 620€ al mese.

Cos’è il reddito di cittadinanza? Lo dice il nome: “una erogazione monetaria, a intervallo di tempo regolare, distribuita a tutti coloro dotati di cittadinanza e di residenza in grado di consentire una vita minima dignitosa, cumulabile con altri redditi (da lavoro, da impresa, da rendita), indipendentemente dall’attività lavorativa effettuata, dalla nazionalità, dal sesso, dal credo religioso e dalla posizione sociale ed erogato durante tutta la vita del soggetto. In pratica, uno stipendio minimo erogato dallo Stato per il solo fatto di essere cittadini, un punto di partenza, da integrare con altri redditi, che dovrebbe garantire la copertura dei bisogni essenziali.

Se è vero che con 600€ al mese non si campa (in particolare in paesi dal costo della vita elevato come quelli nordici); e che quindi, a prescindere dai titoli più o meno sensazionalistici, non è vero che reddito di cittadinanza = smettere di lavorare, resta il fatto che si tratta, appunto, di una base.
Una base che può fare molto, anche dal punto di vista psicologico. E che si colloca perfettamente nel quadro dipinto qui, in un articolo lunghissimo ma altrettanto interessante, dove si parla dell’evoluzione del mercato del lavoro: in sintesi, siamo destinati tutti a lavorare meno, e a svolgere tante attività diverse per mettere insieme il necessario per riempire il frigo, anziché un solo lavoro, sempre quello, per tutta la vita.

Riflettendo sul tema e seguendo la discussione nel gruppo, non ho potuto fare a meno di pensare anche a questo post, che non per niente si intitola “Ami il tuo lavoro?”. E mi è venuta spontanea una domanda, che giro a voi:

Se non fosse necessario, almeno non a tempo pieno, continueresti lo stesso a lavorare?

La mia risposta è “assolutamente sì”, ma ovviamente la prospettiva sarebbe ben diversa.
Ho letto anni fa in un forum di colleghi l’osservazione che segue, che da allora ho sempre cercato di tenere presente: “Bisognerebbe lavorare come se non si avesse bisogno di lavorare“. Penso alla differenza che farebbe in sede di trattative, di tariffe, di risposta a certe richieste, di atteggiamento, di livello di stress.

Potete rispondere (ovvio) nei commenti, sul gruppo oppure solo nella vostra mente. Ma credo sia in ogni caso una domanda che vale la pena di porci, e regolarmente.

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