Una decina di giorni fa, il NYT pubblica questo. In sintesi: Graham Hill è uno di quelli che negli anni 90 ha avuto un’idea vincente, ha creato una startup, l’ha venduta ed è diventato milionario prima dei trent’anni.
Il che (comprensibilmente) gli dà un po’ alla testa: si compra una casa (sovradimensionata), assume un personal shopper per arredarla e riempirla come si deve (visto che nel frattempo sta lavorando come un matto e non ha tempo di farlo da sé)…
Quindi si trasferisce a NYC, e la situazione si complica ulteriormente con l’aggiunta di una seconda casa, anche questa da arredare e riempire ovviamente, e con la necessità di chiudere e svuotare la prima (che incidentalmente sta dall’altra parte degli USA, quindi non proprio dietro l’angolo).
Le cose cambiano radicalmente quando il nostro eroe si innamora e segue la sua bella prima a Barcellona e poi in giro per il mondo. Continua a lavorare e a occuparsi di nuovi progetti, ma è cambiato in modo radicale il suo rapporto con le cose, ormai sostituite dalle esperienze.
Dopo la fine della relazione e il ritorno a NYC, Graham vive in 40 mq. Nelle sue parole: “I have less — and enjoy more. My space is small. My life is big“.
L’articolo ha suscitato una certa polemica, per i motivi che potete immaginare: sintesi brutale, come si permette questo tizio miliardario di dare consigli sulla riduzione e sul superfluo? Sintesi ancora più brutale: parla bene, lui.
Per darvi un’idea:
Wealth, risk and stuff: “Here’s the thing. Wealth is not a number of dollars. It is not a number of material possessions. It’s having options and the ability to take on risk [...] Please, if you are rich, stop explaining the idea of freedom from stuff as if it’s a trick that even you have somehow mastered. The only way to own very little and be safe is to be rich.”
Millionaires shouldn’t give frugality tips: “There is a big difference between choosing minimalism and minimalism being a harsh aspect of daily life,” [...] “At any moment, Mr. Hill could choose to buy more things.”
What’s the Matter With Graham Hill’s ‘Living With Less’: “Americans are not going broke buying clothes, books, music, furniture, cars, appliances and other consumer goods. [...] They call this mistaken narrative “the myth of overspending.” In fact, the share of income we spend in those categories has dramatically declined. [...] most Americans don’t spend more and more of their money on stuff; they can’t afford to. Quite the opposite, they have to spend it on school and doctor’s visits. What has happened is that stuff has gotten cheaper—a lot cheaper—which enables people to buy as much (or more) as they used to while spending less”
Ne abbiamo già parlato, ma l’argomento resta sempre (dolorosamente) attuale, e coinvolge veramente tanti elementi fondamentali nella vita di ciascuno di noi: non solo il rapporto con le cose e con i soldi, ma anche (soprattutto) la libertà, la possibilità di realizzarsi, in ultima analisi la felicità.
Possedere (e portarsi in giro) poche cose, sostiene l’autore del primo post che ho citato sopra, significa in un certo senso assumersi dei rischi: è fattibile per chi quelle cose può sostituirle in ogni momento sfoderando la carta di credito, che allora diventa l’unica cosa veramente essenziale da avere con sé. È un’osservazione interessante: a nessuno di voi, partendo magari per un viaggio, è capitato di rendersi conto di aver dimenticato qualcosa, e di pensare “Vabbé, mica vado nella giungla, vorrà dire che lo ricomprerò”?
Così come scegliere di vivere con sei camicie o 10 scodelle (il tutto, probabilmente, di ottima qualità), è ben diverso dall’essere costretti a fare economia su ogni più piccola cosa, ad accontentarsi dei vestiti di seconda mano (sperando che non si rovinino con un lavaggio sbagliato, o non si strappino) o del piatto sbreccato.
Tutto questo è sacrosanto. Quasi banale. Ma a me sembra che il punto continui a sfuggirci.
Se anche è vero che gli americani (semplifico) non si sono rovinati spendendo e spandendo alla rincorsa di uno stile di vita che non potevano permettersi, ma solo che “gli oggetti sono diventati sempre meno costosi, e di conseguenza è aumentato il potere d’acquisto: se ne possono comprare di più, o la stessa quantità, spendendo meno”, questo non toglie che comunque si sia speso e si continui a spendere in oggetti superflui. Che siano diventati più economici non è una scusante (anzi). Il presupposto lampante è che ogni persona, ogni famiglia, DEVE possedere e quindi acquistare una certa quantità di oggetti: e sicuramente non stiamo parlando di 6 camicie e 10 scodelle.
Al di là delle critiche al miliardario e ai suoi 40 metri quadri, molto simili a quelle regolarmente mosse, ad esempio, a Simone Perotti (l’ho citato qui per la prima volta), e a chi in generale fa scelte di downshifting come le sue, o anche meno “estreme”, apparentemente questa distinzione (che a me sembra piuttosto banale), non viene proprio colta. Probabilmente perché richiede di entrare nel merito delle scelte del singolo e delle modalità con cui ognuno spende i propri soldi: che è quasi un tabù.
Chi sono io per giudicare chi non arriva a fine mese ma vuole togliersi uno sfizio acquistando qualcosa di superfluo? O che sceglie di mangiare patate per una settimana (per dire) per levarsi la voglia di una cena fuori come si deve?
Curiosamente, però, il tabù si rompe se si tratta di giudicare il modo in cui (non) spende i propri soldi chi li ha: non necessariamente miliardari, anche semplicemente chi sta un filo meglio di noi. Apparentemente, in quel caso criticare è consentito: una specie di guerra tra poveri(ni).
Tanto per buttare ulteriore acqua sul fuoco, vi lascio con un commento apparso qualche giorno fa sulla pagina Facebook di minimo (si parlava di tutt’altro in realtà):
“Anche continuare a vivere sopra le proprie possibilità e sulle spalle degli altri è immorale. Un conto è rovinare uno che è già rovinato, ben altro e diverso conto è chiedere I soldi che ti spettano a chi evidentemente di problemi non ne ha, vive da nababbo semplicemente non pagando I suoi debiti. [...] I primi sono tanti purtroppo, ma i secondi in questa italia di furbetti sono ben di più ahimè”.
Vivere al di sopra delle proprie possibilità è davvero qualificabile come immorale? A pelle mi verrebbe da rispondere “sì” un milione di volte… ma se dovessi spiegare perché sarei in difficoltà.
Come vedete non ho risposte da fornirvi, anzi, più che altro le mie sono domande e qualche riflessione in libertà. Aspetto i vostri commenti, però, e aggiungo un ringraziamento a Lorenzo di KeepItSimple, dalla cui segnalazione è nata l’ispirazione per questo post (curiosamente, tra l’altro, entrambi abbiamo commentato lo stesso articolo, io qui e lui qui, ma da prospettive leggermente diverse). Buon weekend a tutti!
L'articolo roba da ricchi sembra essere il primo su minimo..