Il post di oggi è anzitutto un grande regalo, che si è materializzato nella mia casella di posta qualche giorno fa. Scritto da un lettore che vuole rimanere anonimo, parla di downshifting “forzato”, che crea dubbi, e frizioni tra le persone, anche vicine. Sono convinta che sia un problema diffuso (molto più di quel che si pensa), ma che per ovvi motivi resta nell’ambito del non detto.
Anonimo si chiede “Sono un minimalista, o sono un poveraccio?”. Noi avevamo parlato qui di quando la decrescita non è felice, dell’equilibrio e del rapporto difficili tra riduzione “per scelta” e “per forza”. Io, a questo lettore anonimo, non mi sento in grado di dare consigli: posso solo ringraziarlo, e rispondergli che non so se sia un “poveraccio”, ma sicuramente non è un “poverino“. Magra consolazione, lo so, ma di questi tempi è già qualcosa. Forse molto. O moltissimo.
“Non che non avessi dei dubbi e, soprattutto, dei ripensamenti. Non che fossi completamente incosciente a proposito dei miei comportamenti di consumatore. Anzi. Io però della mia attuale morigeratezza e sobrietà non posso certo vantarmi come fosse una scelta libera, una decisione voluta. La mia storia è diversa, perché fino a qualche anno fa, quando lavoravo come dipendente di un’azienda privata mediamente grande, occupavo un posto di rilievo nell’organigramma aziendale, e percepivo uno stipendio commisurato alle mansioni, certi pensieri li avevo ma li cancellavo con la facilità e la rapidità di una ‘passata’ di carta di credito. Ho sempre lavorato, ho sempre guadagnato, ho sempre speso. E poiché i soldi da spendere non bastavano mai, e volevo sempre di più, ero sempre alla ricerca di altri lavoretti, di altri soldi. Al fatto che ormai lavorassi solo, e dedicassi poco tempo alla famiglia, agli amici, a me stesso, pensavo poco, come se un nuovo televisore o un nuovo, ennesimo, paio di jeans potessero appagare tutti i miei bisogni e quelli della mia famiglia. Mi sono lasciato fregare proprio dalla facilità con la quale sono cresciuto. Nel senso che avendo avuto subito la fortuna di trovare un lavoro, avendo avuto la possibilità di crescere in un ambiente professionale molto creativo e stimolante, la mia carriera si è impennata velocemente, e i soldi non mi sono mai mancati. E quando hai i soldi, sei giovane e libero cosa fai? Li spendi! Tanti, ne ho spesi veramente tanti, che a pensarci oggi mi mangerei le mani. Sì perché oggi, il mio bel lavoro non c’è più, e i soldi, che non bastavano mai, adesso sono molti di meno. La condizione invece nel frattempo è cambiata, non sono più giovanissimo, ho una famiglia mia, un mutuo da pagare. Per fortuna una parte dei soldi guadagnati non è finita in vestiti, vacanze o intrattenimento, ma nell’acquisto di una casa che ho sempre considerato (e considero tuttora) una sorta di estremo salvagente.
Perso il lavoro, per un paio d’anni, sono riuscito a vivere come niente fosse. Come fosse solo una pausa sgradita, come se presto sarei ripartito, con il lavoro e con la mia vita normale. Mi sbagliavo ovviamente. La crisi economica nel frattempo galoppava, e il mondo del lavoro impazziva. Quando una coppia affronta un problema come questo, possono succedere due cose: se il rapporto è saldo, diventa indissolubile, se il rapporto è già un po’ traballante, ci si allontana di parecchio. Quest’ultimo è il mio caso. Ho aggiunto questa nota perché la ritengo importante per far capire poi come sto vivendo oggi la mia vita ‘al minimo’.
Mentre aspettavo che avvenisse il miracolo e che trovassi un lavoro simile in tutto e per tutto a quello che avevo perso, dato che la disponibilità economica si faceva sempre più esigua, ho cominciato ad analizzare tutte le spese di casa, alla ricerca di possibili tagli e risparmi. Intanto non potevo fare a meno di guardarmi intorno, in casa, e di analizzare quante decine (centinaia in alcuni casi), di euro giacevano inutilizzati sugli scaffali, nei mobili e negli armadi. Libri letti, film visti, musica che non ascoltavo più da anni, e poi vestiti, scarpe, apparecchi elettronici, borse, attrezzature sportive. Quintali di roba poco o per nulla utilizzata, che negli anni mi era costata centinaia e centinaia di euro, e che oggi occupava inutilmente spazio in casa, accumulando polvere e basta. La domanda che mi sono posto è stata: ma che bisogno avevo di tutta questa roba? È stata come una scintilla. Ho cominciato quindi ad interessarmi a stili di vita diversi, scoprendo su Internet un universo di siti e blog interessanti, italiani e non. Ho scoperto che quella voglia di disfarmi di tutti quegli oggetti in casa aveva un nome, decluttering, e che molte persone sia in Italia che all’estero, ne hanno fatto una vera e propria bandiera, uno stile di vita che si chiama minimalismo e che, oltre al decluttering, comporta o comprende anche tante altre scelte più o meno condivise. Uno stile di vita ‘adattabile’ alle singole situazioni, senza integralismo e senza regole rigide. Piuttosto un orientamento. Il rifiuto dell’eccesso, del non necessario. Non si tratta di rinnegare il consumo, ma il consumismo sfrenato, quello che ti porta a vivere per consumare, a lavorare di più per poter guadagnare di più e spendere di più. A distanza di qualche mese, oggi che il ‘furore’ minimalista dei primi tempi si è calmato, posso annoverare come piccoli successi il fatto di essermi disfatto di molti degli oggetti inutili che stazionavano in casa (tanti sono stati anche venduti e ci ho ricavato dei soldi), di essere riuscito a diminuire drasticamente i miei consumi in fatto di abbigliamento, ristoranti, intrattenimento, trasporto (uso di più i mezzi pubblici o la bicicletta). Su altri aspetti, invece, ho segnato un po’ il passo. Per esempio la spesa, l’alimentazione. Devo dire che la presenza di bambini in casa (almeno finché sono piccoli) condiziona un po’ determinate scelte, come quella di aumentare il consumo di verdure a scapito di altri cibi più… graditi. E questo magari ti porta a continuare a frequentare il supermercato e le sue trappole quando magari preferiresti cibi più naturali e freschi come quelli dei mercati contadini. Avevo anche cominciato a dedicare più tempo al movimento, allo sport, ma non sono molto costante e questo è un aspetto su cui devo concentrarmi maggiormente. Il fatto è che, comunque, il problema del lavoro è sempre lì, e nonostante abbia qualche piccola collaborazione, e quindi qualche piccola entrata, risolverlo in maniera definitiva, o quantomeno credibile, rimane la mia priorità n.1. Questo porta via tempo ed energie.
Anche perché l’atmosfera in casa mia è sempre un po’ pesante. Leggo di molte coppie che condividono queste scelte di vita, e le invidio molto (bonariamente, si intende). Io invece con mia moglie non ci provo neanche. Lei è completamente concentrata su altre convinzioni. Lei vuole non dico diventare ricca, ma quanto meno “stare bene”, pretende di continuare a fare la vita di prima, sapendo bene che oggi la situazione generale è quella che è. Tutto questo per dire che quella che ho intrapreso, anche se non per scelta mia ma per il corso che hanno preso gli eventi, mi sembra una strada interessante, gratificante, salutare anche. Ma molto difficile da vivere appieno se non condivisa dall’intero nucleo famigliare. E, soprattutto, se le scelte da fare sono sempre e comunque ‘forzate’ dalle difficoltà economiche. Insomma, semplificando, decidere di non comprare un nuovo paio di scarpe è minimalismo se i soldi per comprarle ce li hai. Ma se non ce li hai… è qualcos’altro. Ne deriva un interrogativo più generale: sono un minimalista o un ‘poveraccio’?”
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